Ricordo di Susanna Agnelli

"Suni", una donna che preferiva i fatti al clamore

di Italico Santoro

Incontrai per la prima volta Susanna Agnelli nella sua villa all’Argentario, quando era sindaco. "La Voce Repubblicana" mi aveva chiesto di fare un servizio sulla sua esperienza di primo cittadino, corredato da un’intervista. Passammo insieme alcune ore e fu – come d’altra parte era ovvio – un lungo monologo.

In realtà la conobbi davvero solo alcuni anni dopo, durante la campagna elettorale che precedette le elezioni politiche del 1987. Incoraggiata da Giovanni Spadolini, aveva accettato di capeggiare la lista repubblicana alla Camera dei Deputati – oltre che a Torino, dove era candidata anche al Senato – in altri due collegi, quello di Firenze e quello di Salerno. A Firenze non andò bene, a Salerno fu un successo.

A capeggiare la lista della Democrazia Cristiana, in quel collegio, era Ciriaco De Mita, allora al culmine della sua parabola politica. L’"avvocato" lo aveva definito, poco tempo prima, un "tipico intellettuale della Magna Grecia", e tutta la campagna elettorale fu caratterizzata da una garbata venatura polemica che piacque molto agli elettori repubblicani di Salerno (dove, tra l’altro, si era appena insediata, con l’appoggio qualificato e determinante del Pri, una giunta laica, con la Democrazia Cristiana all’opposizione).

Da quella campagna elettorale – in cui "Suni" si spese con entusiasmo, riassumendo su di sé le ragioni del Nord e quelle del Mezzogiorno – nacque un solido rapporto politico, destinato a durare nel tempo, fino a quando il gorgo di tangentopoli non inghiottì uomini e partiti, rapporti e speranze. Non le chiesi mai, nell’immediato dopo elezioni, per quale collegio avrebbe optato. Fu lei a farmelo capire, quando andai a riceverla all’aeroporto di Capodichino a risultati acquisiti e mi salutò in maniera inequivoca: "caro onorevole".

Dalla solidità di questo rapporto ebbi una conferma qualche anno dopo, nel 1989. Per le elezioni europee il Pri era orientato a presentare un’unica lista con liberali e radicali. La Agnelli era contraria all’accordo con Pannella, temeva che il suo movimentismo avrebbe finito per offuscare il profilo istituzionale di repubblicani e liberali. Era disposta, se l’accordo non fosse andato in porto, a candidarsi dovunque il partito lo avesse ritenuto opportuno; in caso contrario, minacciava di lasciare il Pri. Partendo per gli Stati Uniti, mi affidò la sua accettazione di candidatura: da utilizzare solo se repubblicani e liberali avessero corso per proprio conto alle europee. L’accordo, invece, venne fatto (e fu un insuccesso). Al suo ritorno, all’aeroporto di Fiumicino, le riconsegnai i documenti non utilizzati e, in una lunga conversazione, credo di aver contribuito a convincerla a rimanere nel partito.

Dopo le elezioni del 1987 volle ringraziare a modo suo gli elettori. Avevamo visitato insieme il museo di Paestum: un’ala, proprio quella che ospitava la "tomba del tuffatore", era chiusa da anni. Era in corso un restauro infinito, una tipica storia italiana. Uscì dal museo indignata e intervenne – con la decisione e l’autorevolezza che in lei erano innate – perché quella storia e quel restauro avessero termine. Poche settimane dopo, veniva inaugurata l’ala del museo interdetta al pubblico. Un autorevole dirigente del Ministero presenziò alla manifestazione e si attribuì i meriti di un successo che non era suo. Susanna Agnelli neppure era presente e i salernitani non seppero mai a chi dovevano la riapertura integrale del museo.

Anche quella volta "Suni" aveva preferito i fatti al clamore, lasciando magari ad altri meriti che non erano loro. Come, probabilmente, avrà fatto spesso nel corso della sua vita.